La storia di Lilli

La storia di Lilli

La storia di Lilli è una delle tante che popolano questo Paese che invecchia senza vedere negli anziani una risorsa utile per la società. Storie di chi vive in piccoli borghi di provincia, spesso in condizioni di isolamento e solitudine. Ma anche di coraggio, che raccontano l’esperienza di chi non vuole arrendersi di fronte alle difficoltà.

Liliana cammina veloce intorno al grande tavolo della cucina. Si ferma solo per girare il cucchiaino nella moka del caffè, che poi versa attentamente nelle due tazzine. A seguirla con lo sguardo è sua nipote, pronta ad aiutarla se la mano inizia a cedere. 

«Mi chiamo Liliana, ma per tutta la vita sono sempre stata Lilli - esordisce superando i primi convenevoli - ho 85 anni e sono una maestra in pensione da ormai diverso tempo». I suoi capelli dorati testimoniano la sua voglia di non arrendersi al passare degli anni e quell’accenno di smalto sulle unghie lascia spazio alla vanità. 

Vive in una frazione vicino a Todi, in provincia di Perugia, un pugno di case arrampicate sul colle che guardano verso il fiume Tevere. «Mi sono trasferita in questa casa il 5 settembre 1965, lo stesso giorno del mio matrimonio. Qui ho vissuto le mie più grandi gioie - la nascita dei miei tre figli, i primi passi dei miei cinque nipoti, le serate in allegria con i nostri amici - e al tempo stesso i miei più grandi lutti. Mio marito è venuto a mancare lo scorso novembre e da allora sento di non essere più la stessa». Si commuove. «C’è un vuoto in casa che nessuno può riempire, per quanto i miei figli siano presenti. Sono rimasta sola e questo è innegabile». 

Le sue giornate si svolgono prevalentemente in casa: le piace cucinare, soprattutto la domenica quando i nipoti immancabilmente fanno tappa da lei, ma anche leggere e fare le parole crociate per mantenere la testa attiva. 

«Non guardo quasi mai la televisione, preferisco la compagnia di un buon libro o leggere il giornale cittadino al quale sono abbonata da molti anni. Poi le riviste di cucina, la mia grande passione. E a guardare la felicità di chi mangia da me, sembra che mi venga bene. Ma non parlatemi di dolci: a casa nostra si comprano sempre!».

Lilli parla con movenze eleganti, la sua cultura emerge da ogni parola che pronuncia. Ad aiutarla nella cura domestica da qualche anno c’è Gabriella, che definisce affettuosamente sua nipote: «Abita tre case sopra la nostra, spesso passa a trovarmi per bere insieme un caffè e per farmi un po’ di compagnia. Averla così vicino mi rende tranquilla: so che per qualunque cosa posso chiamarla ed anche i miei figli sanno di poter contare su di lei».

L’importanza di non essere soli

«Non posso negare che la solitudine un pò inizia a farsi sentire. Abito in una piccola frazione e, rispetto a quarant'anni fa quando la zona era ancora popolata di famiglie giovani (compresa la mia), adesso di persone in giro se ne vedono davvero poche». I suoi figli non abitano a qualche chilometro di distanza, quindi durante la settimana è spesso sola. «Non mi fanno mancare nulla» ci tiene a precisare «sono molto presenti, ci sentiamo tutti i giorni e vengono a trovarmi ogni domenica. Per vederli ho imparato anche ad utilizzare “uozappe”! Non nascondo però che mi piacerebbe moltissimo avere un po’ di compagnia».

Molte delle associazioni che frequentava hanno chiuso a causa del Covid: quella dei marinai («Anche se in Umbria il mare non c’è», tiene a precisare) e soprattutto quella del Pozzo Beccaro, che negli anni le ha offerto l’opportunità di visitare luoghi d’arte e di cultura e di fare gite al mare e in montagna. 

Lilli, da quando è in pensione, non è mai stata ferma: i viaggi in Grecia, in nord Europa e in Slovenia col marito le hanno dato modo di vivere una vita piena. Poi gli incontri con le amiche della parrocchia, la ginnastica dolce il mercoledì mattina e l’appuntamento con la parrucchiera Silvana il sabato alle 12, le giornate passate con i nipoti a raccontare favole e fare i compiti (non si smette mai di fare la maestra!), fino alle passeggiate panoramiche in cima alle colline che circondano i borghi medievali. 

«Adesso ho molto poco di tutto questo, ma sono felice di tutto quello che ho vissuto: una vita piena e soprattutto felice, nonostante tutti i miei acciacchi e il mio cuore ballerino». 

Quando le chiedono perché non sceglie di trasferirsi più vicino a sua figlia maggiore che ora abita a Spoleto, risponde con convinzione: «Le mie radici sono qui e - come diceva spesso mio marito - non è possibile estirpare una grande pianta dal suo habitat naturale: a lungo andare morirebbe». 

Quali azioni possiamo mettere in atto per contrastare la solitudine degli anziani?

Alla frammentazione dei servizi a livello territoriale e alla mancanza di un coordinamento regionale o nazionale, il Covid ha aggiunto la difficoltà di intraprendere iniziative autonome a livello di enti e associazioni locali. 

Introdurre degli interventi di prossimità che permettano agli anziani di non cadere nel vortice dell’abbandono deve rimanere una priorità. Soprattutto nei piccoli centri, dove la vita sociale rischia maggiormente di spegnersi. 

Servono iniziative concrete come il vicinato di quartiere, il sostegno alle comunità, alle relazioni sociali e alle iniziative ricreative: tutte forme di partecipazione ad una cittadinanza attiva che vanno promosse e alimentate, nel doveroso rispetto delle norme di sicurezza, ma anche con inventiva e capacità di visione a lungo termine. Tornare alla normalità ripartendo da qui è possibile. 

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