Si parla spesso del rapporto madre-figli come se la mamma fosse per sua naturale vocazione la sintesi della genitorialità. La parola “mamma”, infatti, è probabilmente una tra le più utilizzate nella nostra vita: è la prima parola che impariamo a pronunciare e forse l’ultima che sussurriamo quando le forze che ci sorreggono vengono meno. Perché la mamma è per definizione la sintesi assoluta dell’amore madre-figlio, è l’icona per eccellenza, il simbolo della compassione (nel senso etimologico di questo termine).
Nonostante, dunque, la capacità dell’immagine materna di incarnare la più immediata sintesi della genitorialità, nel rapporto padre-figli c’è qualcosa di altrettanto intrinsecamente magico che fiammeggia, una intima connessione che si alimenta non solo dell’amore paterno ma anche di quel vissuto che la figura del padre porta con sé: dedizione, sacrificio, educazione, valori, riscatto. Un modello, una vera e propria direttrice. Sì, un papà che indossa i panni del direttore d’orchestra della famiglia e che insegna ai propri figli i segreti e le tecniche per eseguire la partitura che la vita offrirà loro.
Eppure, quando si è piccoli, tutti quei valori nobili e iconici racchiusi nella figura paterna sono talmente eminenti da non poter essere compresi fino in fondo, nella loro grandiosa pienezza. Ed è un rapporto, quello tra un padre e un giovane figlio, che si struttura, si arricchisce, si edifica quasi inconsapevolmente su quei pilastri valoriali che solo in età adulta un figlio inizia quasi tangibilmente a sentire propri. Ed è lì che si inizia ad acquisire consapevolezza della maestosa grandezza di un papà, della sua saggezza, il suo essere stato il direttore d’orchestra con la bacchetta più ferma e più dolce che si possa immaginare.

Emozioni profonde che si celano dietro la figura paterna, e che poi quasi per incanto si svelano in età adulta, facendo sì che il rapporto padre-figlio si rovesci improvvisamente come una clessidra: la clessidra della vita che scandisce il “secondo tempo”.
In questo “secondo tempo” il figlio si trasforma magicamente nel “padre” di suo padre e, con quello stesso amore con cui veniva cresciuto da bambino, lo accudisce, lo coccola, lo protegge, si prende cura di lui con la voglia quasi di restituire tutto ciò che egli ha ricevuto nel passato. All’immagine del padre che sorregge il figlio mentre questi muove le prime pedalate in bicicletta, nel “secondo tempo” si sovrappone dunque l’immagine del figlio che sorregge il padre mentre questi cammina incerto. Al padre che accompagna il proprio figlio lungo le prime scoperte, che sostiene i suoi interessi e le sue passioni e gioisce per le sue prime “conquiste”, nel “secondo tempo” subentra il figlio che sostiene il proprio padre nel portare a termine quelle piccole conquiste quotidiane, che hanno il sapore di un traguardo condiviso, dove l’affetto si fonde alla gratitudine, in una relazione senza tempo.
È dunque proprio in questo “secondo tempo” che i figli colgono appieno i valori paterni e riescono a restituirli con quella stessa grandezza con cui sono stati loro trasmessi, in un perfetto rapporto di osmosi in cui il figlio di ieri si scopre padre di oggi, e dirige quell’orchestra di cui è parte suo figlio, che sarà a sua volta padre domani.