Assistenza agli anziani: la riforma di cui abbiamo bisogno

Lorenzo
Lorenzo Bandera

Responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne presso Percorsi di Secondo Welfare

Assistenza agli anziani: la riforma di cui abbiamo bisogno

L’Italia è sempre più vecchia. Oggi i cittadini sopra i 65 anni sono quasi 14 milioni, pari al 23% della popolazione – il dato più alto di tutta l’Unione Europea –  e secondo le proiezioni dell’Istat diventeranno il 34% entro il 2050. In altre parole, tra poco meno di trent’anni 1 italiano su 3 ricadrà in quella fascia che statisticamente è definita “anziana”. Capire come andare incontro ai bisogni di queste persone è (e sarà) fondamentale per garantire la sostenibilità del nostro sistema di welfare. In questo senso il dibattitto in corso per la riforma del sistema della Long Term Care (LTC), ovvero l’insieme dei servizi dedicati alla cura e all’assistenza degli anziani non autosufficienti, appare un punto centrale su cui occorre porre grande attenzione.

Si fa presto a dire “anziani”

Il punto di partenza per riflettere di questo tema è capire che col termine “anziani” si indica ormai una platea molto ampia (e che come detto si amplierà sempre di più in futuro) che presenta condizioni di vita e bisogni che variano notevolmente al suo interno. 

Gli anziani “attivi” (che possiamo collocare nella fascia tra i 65 e i 74 anni) ad esempio sono generalmente autonomi e ancora coinvolti (o coinvolgibili) in processi che creano valore e benessere, personale e collettivo; i loro bisogni sono legati soprattutto alla sfera della socialità (come evitare la solitudine e sentirsi ancora utili) e al rimanere in forma. I cosiddetti anziani “fragili” (tra i 75 e gli 84 anni) invece, sebbene ancora autosufficienti nell’ambiente domestico, fuori casa spesso faticano a muoversi liberamente e a mantenere legami sociali; per questo necessitano di forme “leggere” di assistenza alla mobilità, ma anche strumenti aggregativi e piccoli servizi alla persona (pulizia, spesa, piccole manutenzioni, etc.). Infine, chi ha più di 85 anni si trova più facilmente a “rischio non autosufficienza”: colpito da limitazioni gravi sia nel contesto domestico che fuori casa, con conseguente necessità di cura e assistenza continua, in campo sanitario e non.

Risposte inadeguate

Oggi il nostro sistema di welfare fatica a leggere queste diverse necessità e pertanto non è in grado di fornire loro risposte coerenti ed efficaci. Gli interventi sanitari e assistenziali sono tendenzialmente realizzati a “silos” (non si parlano e non si integrano) e si concentrano soprattutto sulle situazioni di maggiore fragilità (anziani non autosufficienti e privi di risorse proprie), trascurando invece le fragilità più lievi, che si manifestano progressivamente ma che necessiterebbero di essere prese in carico precocemente per ritardare la perdita dell’autonomia, il rischio isolamento e la co-morbilità. In pratica gli interventi arrivano solo quando la situazione è già compromessa, trascurando una dimensione preventiva che sarebbe invece fondamentale per creare un modello più sostenibile e più attento anche alla dignità delle persone. 

In questo quadro la sfida più grande appare quella di comprendere che l’anziano ha bisogno di attenzioni e di servizi di welfare già prima che l’età diventi un problema e/o le malattie diventino croniche. La conseguenza dovrebbe essere quella di investire sull’invecchiamento costruendo una filiera di servizi sempre più integrati e trasversali. Per farlo occorrerebbe ripensare e ricomporre una spesa frammentata tra troppe diverse competenze, realizzando un sistema realmente universale che sia capace di appianare, in particolare, le disuguaglianze tra chi è in grado di affrontare spese private per tutelare i bisogni propri o dei propri cari (le cosiddetta spesa out of pocket) e chi, invece, è costretto a subire le inefficienze del welfare pubblico non potendo percorrere altre soluzioni. Un ripensamento che, peraltro, aprirebbe anche a nuove opportunità lavorative e figure professionali, incidendo positivamente anche sullo sviluppo economico (c.d. Silver Economy). 

Il problema è che dagli anni Novanta nel nostro Paese in questo campo sono stati approvati solo interventi circoscritti, incapaci di limitare le ricadute di un sistema stratificato, disorganico e caratterizzato da crescenti disuguaglianze, territoriali e sociali. Nonostante siano state avanzate 18 proposte di riforma, negli ultimi 30 anni solo una è stata approvata (la legge 296/2006 di istituzione del Fondo per le non autosufficienze).

L’opportunità della pandemia

La pandemia paradossalmente ha offerto l’opportunità di cambiare questa situazione. Il Covid-19 ha infatti messo in evidenza molti limiti del nostro sistema sociosanitario, esacerbando problemi noti e generandone di nuovi, ma ha anche creato le condizioni per affrontare finalmente il tema dell’invecchiamento e, in particolare, della Long Term Care. 

Da un lato si è infatti affermata una rinnovata attenzione alla questione da parte non solo degli addetti ai lavori ma anche della Politica (e, in parte, dell’opinione pubblica); dall’altro lato l’arrivo di ingenti risorse attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza offre opportunità di investimento inedite sul fronte sociosanitario. Proprio in questo quadro è nato il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”, una rete composta da 50 organizzazioni nazionali (che rappresentano anziani e famiglie, pensionati, ordini professionali e fornitori di servizi), che si sono messe insieme per fare advocacy . Il primo frutto di questa unione è una proposta articolata per la costruzione di un Sistema Nazionale di Assistenza (SNA) agli anziani non autosufficienti  su cui fondare la riforma che il nostro Paese sta aspettando da anni. 

Il Patto, in estrema sintesi, mira a realizzare un sistema di care multidimensionale per superare la frammentazione attuale e realizzare un modello integrato di presa in carico, dialogando in maniera continuativa coi Ministeri del Welfare e della Salute. Le logiche di sviluppo di questa azione sono sostanzialmente due. La prima è unire le forze. Per riformare il sistema bisogna valorizzare le competenze dei diversi attori in campo - dalle istituzioni nazionali alle rappresentanze regionali e locali - superando le diverse posizioni e gli steccati esistenti tra Pubblico e privato. La seconda è fare presto: bisogna portare a compimento l’iter della riforma entro il termine della legislatura, per non perdere le risorse del PNRR e per evitare il deterioramento di una situazione che già ora appare a tratti insostenibile. 

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